domenica 29 dicembre 2013

L'accidia


Continua dal post del 13 novembre sulla tristezza e fa parte della serie dedicata ai sette vizi capitali o otto passioni maggiori.

Anche questo articolo, come i precedenti, è tratto dai testi dei coniugi Goettmann e J. Leloup.

Nonostante non condivida alcuni punti di vista degli autori, trovo la loro descrizione delle passioni maggiori molto acuta e utile a far riflettere tutti coloro che hanno intrapreso un percorso di ricerca interiore.
Ecco perché ho deciso di inserire questa serie di trascrizioni nel mio blog.
Alla fine dell'articolo ho riportato tutti i link per accedere ai post precedenti: questo periodo di fine anno e inizio anno nuovo porta con sé speciali energie che, unite al vostro desiderio di rinnovamento, favoriranno positivamente il progresso.



' L'individuo che ha intrapreso un itinerario spirituale rispondendo alla chiamata di Dio, deve passare attraverso tappe successive di purificazione. Dopo una partenza sovente entusiasta, vissuta spesso nell'euforia, per una decisione finalmente presa con coraggio, giunge presto la prova di un combattimento spirituale; proprio come per gli ebrei, che dopo la fuga dall'Egitto e la gioia per la liberazione, dovettero subito affrontare la tappa del deserto. Aridità, crisi improvvisa, perdita di fiducia. Si comincia a mormorare e a rimpiangere i piaceri del passato. Il gusto della vita spirituale sembra essere smarrito e Dio, per cui si era intrapreso il viaggio, pare essere lontano.

L'akedia non è una voglia o una pulsione come quelle fin qui descritte, ma uno stato d'animo che coglie e attraversa le pieghe dell'anima, paralizzando la coscienza e, osserva Massimo il Confessore, dando libero corso all'assalto di tutte le altre passioni. Giovanni Cassiano precisa che questo stato ha due caratteristiche: il disgusto e la paura che si infilano in tutti i nostri atti. Nasce di là un cattivo umore interiore che ci rende l'attimo presente insopportabile.

Più triste della tristezza (lupé), l'accidia conduce alla disperazione e talvolta persino al suicidio. Nel linguaggio contemporaneo, parleremmo di depressione o melanconia nell'accezione clinica del termine. Gli antichi Padri la chiamavano anche "il demone di mezzogiorno" e descrivevano con precisione quello stato in cui l'asceta, dopo aver conosciuto le consolazioni spirituali dell'inizio e il combattimento ardente della maturità, rimette in discussione tutto il suo cammino; non solo Dio quindi ma anche la scelta monastica, il proprio matrimonio, il cammino spirituale, le scelte fatte. Per mettere a tacere il tormento dell'anima l'individuo si rifugia nell'iper-attivismo, nel sesso, nell'alcol, nei viaggi, negli psicofarmaci...Ma non c'è nulla che può sciogliere la sua ansia interiore.

Anche Jung, nel suo processo di individuazione, ha descritto bene quel momento di "crisi" in cui l'uomo rimette in questione la sua vita. E' un periodo in cui si può manifestare con violenza il "ritorno di ciò che è stato represso", ma può anche essere il momento chiave di un "passaggio" verso una realizzazione più alta; ai valori del "avere" si sostituiscono i valori del "essere" i quali orientano ormai la vita dell'uomo non più verso l'affermazione dell'ego ma, al contrario, verso la sua relativizzazione e la sua integrazione nell'archetipo della totalità che Jung chiama il Sé. 
Questo periodo è caratterizzato particolarmente da depressione. Tutti gli antichi sostegni o le antiche sicurezze vengono a mancare e niente sembra sostituire il bell'edificio crollato; se si cerca un aiuto o un conforto, ciò non fa che accrescere la disperazione e il sentimento di totale incomprensione al quale pare di essere condannati.

L'accidia pietrifica l'uomo sul non senso e sull'assurdità della vita. E' senza dubbio la più grande paura dell'uomo del XX° secolo, ben oltre la paura del nucleare, c'è il terrore di fronte all'apparente non-senso della vita.
La cura peggiore per questo male è la consolazione! Chi cerca di consolare colui che si trova in questo stato di apatia e passività farà - involontariamente, certo - solo dei danni. La consolazione è l'ultimo dei rimedi: non solo non fa che aumentare il male, ma impedisce il processo di conversione. Colui che si trova sprofondato nell'abisso dell'accidia non può fare altro che accettare di vivere pienamente e coscientemente questo stato con tutto ciò che esso comporta: disgusto, noia, stanchezza, paura, depressione...  Stare là, immobili nella propria abulia, senza fuggirne o, peggio, senza narcotizzarla con espedienti inutili, ma accettarla...  nella preghiera e nell'abbandono con un "sì" che sa fidarsi di un Dio che, in quel preciso istante, pare essere distante e indifferente. Talvolta bisogna lasciarsi schiacciare fino in fondo dalla propria condizione, per trovare poi la forza di rialzarsi. Il Dio, che abbassa e innalza, vuole che tocchiamo il fondo non per annientarci, ma per renderci umili e restituirci la dignità di figli.

L'esperienza del deserto nella nostra vita è il più grande dei misteri. L'uomo viene spogliato del proprio ego e depone una per una tutte le sue sicurezze e si lascia condurre solo da Dio, il quale ci chiede di fare un solo passo alla volta, qui e oggi, nell'attimo presente, senza preoccuparsi del passato e del futuro.
Durante i mesi della malattia, Teresa di Lisieux, in preda agli spasmi e ai conati sanguigni della tubercolosi, malattia che l'avrebbe condotta a morte a soli ventiquattro anni, diceva: "Soffro solo di attimo in attimo... Ci si scoraggia e ci si dispera quando si pensa al passato e all'avvenire. Io soffro, ma non sono affatto infelice. Il Signore mi da esattamente ciò che posso sopportare, istante dopo istante". '

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